COLLEZIONE GORI

Emilio Vedova

Emilio Vedova (Venezia, 1919 – Venezia, 2006)

L’amicizia tra Giuliano Gori e Emilio Vedova nasce già negli anni del dopoguerra quando, soprattutto in occasione delle edizioni della Biennale di Venezia, il giovane collezionista toscano visita l’atelier dell’artista che condivide con lui il suo archivio personale, permettendo la visione di quei disegni giovanili che rivelano le radici figurative dell’opera astratta. È durante una di queste visite che il quadro Nello studio (1956), definito dall’autore come il suo ultimo lavoro figurativo, è acquistato dalla Collezione Gori.

L’edificio della fattoria è stato da poco restaurato quando, nel 1985, arriva Emilio Vedova a Celle all’apice della sua indagine sullo spazio condotta in una serie di opere da attraversare col corpo, di cui costituiscono un esempio i Plurimi. All’interno della torre ovest della fattoria, sceglie come spazio per il suo intervento tre ambienti agricoli adiacenti, illuminati dalla luce naturale proveniente da grandi finestre a forma di semicerchio. Prendendo spunto dalle finestre decide di raddoppiare il semicerchio per creare degli enormi tondi in legno da trasformare con i suoi gesti pittorici. L’artista racconta la scoperta in un testo dedicato all’opera, che prenderà il nome di Non dove: «Quando Gori mi invitò a prendere possesso di uno spazio/intervento – com’è nei programmi della sua poetica – in contributo inedito, subito: i DISCHI!”».

Infatti i dischi dipinti dall’artista sui due lati (visti successivamente in prestigiose mostre all’estero), hanno le misure delle finestre di queste stanze, che li hanno originati. Il visitatore è sotto l’attento controllo dell’artista che è arrivato a buttare giù la parte centrale di una parete di separazione del vano, provocando effettivamente una “breccia” da cui spiare oggi i dischi nell’ambiente accanto.
«Emilio Vedova, il più anziano degli ospiti interni, è accolto nella stanze del primo piano della fattoria. Con un colpo di genio egli trova modo per sfondare, idealmente, gli stretti confini dello spazio affidatogli. L’artista veneziano concentra la sua pittura all’interno dei tondi, una misura che accompagna molto bene le forme fluttuanti nel loro interno, funzionando da limite che non limita, da chiusura che non chiude ma piuttosto apre. Inoltre, alcuni di questi tondi sono conficcati nella parete, dando così l’illusione di continuare, di estendersi oltre i muri come se questi esistessero con la loro meschina certezza». Renato Barilli ” Una perfetta armonia tra interno ed esterno: la presenza degli artisti italiani nella Fattoria di Celle” in Arte Ambientale, Umberto Allemandi & Co., Torino, 1993, p.15.

Opere dell’artista

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